Intervista a Emiliano Battazzi
Chiacchierata con l’autore di Calcio liquido
Emiliano Battazzi, caporedattore calcio de L’Ultimo Uomo, dove da anni firma articoli a tema tattico, ha pubblicato presso 66thand2nd il libro Calcio liquido, che racconta l’evoluzione tattica della Serie A negli ultimi trent’anni. Un’opera originale nel panorama letterario italiano, che merita – attraverso l’intervista che vi apprestate a leggere – un approfondimento.
Innanzitutto ti chiedo quale sia la tua “formazione calcistica”. Scrivere un libro di tattica non è infatti da tutti, come hai acquisito negli anni le competenze necessarie?
«Come per tutte le altre cose di cui mi sono occupato o mi occupo, c’è una sola risposta valida: ho studiato, molto. Da bambino ho sempre letto tutto il possibile sul calcio; da adulto ho cominciato ad approfondire la parte tattica. Ho iniziato a scrivere analisi tattiche su un piccolo sito dedicato ai tifosi della Roma quando in Italia lo facevano in pochissimi: e infatti io leggevo tutta la new wave inglese, da Jonathan Wilson a Michael Cox, che proprio in quegli anni si stava affermando».
Non è facile riassumere 30 anni di calcio in poco più di duecento pagine. Pertanto ti chiedo con quale criterio hai scelto cosa trattare e cosa no (immagino ci siano allenatori e/o squadre che hai scelto di tralasciare)?
«Ci sono più criteri, ovviamente soggettivi, che ho cercato di seguire, a volte scegliendo allenatori o squadre che li rispettassero tutti, a volte solo alcuni. L’impatto sul calcio contemporaneo di un allenatore (non a caso si parte da Sacchi); il riscontro a livello europeo (il Vicenza di Guidolin fino alla semifinale di Coppa delle Coppe); il cambiamento introdotto nella Serie A o nello specifico club (Zeman nel primo caso, Lippi nel secondo); la diversità tattica rispetto al contesto italiano (De Zerbi). Un grande criterio di sottofondo è quello di privilegiare proposte di gioco più offensive, meno speculative (vedi il grande risalto dato a Gasperini e Sarri), ma senza ovviamente sminuire altri percorsi. Non esiste un criterio unificante, se così vogliamo chiamarlo: ci sono sicuramente tanti altri allenatori che meritavano di essere inseriti, ad esempio uno potrebbe essere Prandelli. Il libro però si sarebbe così trasformato in una sorta di enciclopedia indigeribile».
Nel concreto, come si è svolto il lavoro di ricerca e documentazione? Hai visionato dei video? Ti sei affidato a fonti scritte? Hai scavato nella tua memoria?
«Mi sono affidato praticamente a tutte queste fonti, tranne la memoria, perché non è altrettanto affidabile, ormai anche la scienza sembra sia concorde al riguardo. Per le squadre degli anni ‘90 ho dovuto vedere più partite, fortunatamente rintracciabili su alcuni siti specializzati; su quelle degli anni duemila c’erano già molte più fonti scritte affidabili; per quelle dell’ultima decade, ho dovuto rivedere meno partite, grazie a tutto il lavoro dell’Ultimo Uomo, tra cui anche un mio longform tattico. Anche lì, ovviamente, alla base c’erano molte ore di partite viste».
È stato difficile tradurre in parole determinati concetti senza scadere nel “covercianese”?
«Forse meno difficile del previsto, anche perché mi sembra che ormai ci sia un percorso linguistico netto e ben evidente che in molti stanno percorrendo: oltre ovviamente all’esperienza dell’Ultimo Uomo, penso anche a Rivista Undici, ma non solo. Purtroppo è vero che il covercianese è ancora molto diffuso quando si parla di tattica: in tv ormai anche durante le partite si sentono spesso ex calciatori usare il termine “preventive” (riferendosi alle marcature preventive), e non ho idea di cosa possa pensare un normale spettatore che guarda la tv. Il covercianese a me sembra, oltre che cacofonico, anche respingente. Nel libro la grande difficoltà è stata quella di individuare un approccio più generalista, che potesse attrarre sia gli appassionati di tattica che le persone semplicemente interessate al calcio. In sostanza, un minimo comun denominatore per tutti i potenziali lettori».
In Italia c’è un problema: sovente si parla di calcio in maniera piuttosto superficiale, influenzati solamente dal risultato. A cosa è dovuta secondo te questa modalità di discorso calcistico portata avanti anche da addetti ai lavori ai quali sarebbe in teoria richiesta una capacità di analisi più profonda e completa?
«Da un lato, c’è il classico “si è sempre fatto così”: in pochissimi hanno provato a introdurre elementi innovativi nel giornalismo calcistico – Gianni Brera ad esempio forniva delle sue interpretazioni tattiche delle partite. Dall’altra c’è l’idea che il calcio sia semplice, che ci sia poco da analizzare, a parte i singoli episodi, e che quindi ci sia solo da fare chiacchiericcio. In più, parliamo di un argomento che appassiona una grandissima parte di popolazione, che si auto-valuta molto competente al riguardo: da qui anche le ironie e il fastidio contro chi si impegna a utilizzare un approccio diverso, più analitico. Alcuni addetti ai lavori mi sembrano più che altro assumere una posa, proprio al fine di soddisfare questa attitudine superficiale molto diffusa».
De Zerbi preso in giro con epiteti ironici tipo “il maestro”, Zeman considerato un perdente, Sarri «bravo ma non vince», la costruzione dal basso vista con il fumo negli occhi: sembra che tutto quello che esuli dal caratteristico calcio all’Italiana continui a godere di pessima fama in Italia. Come se ne può uscire?
«Ne usciremo, anzi forse ne stiamo già uscendo, perché il calcio è comunque ormai troppo in avanti rispetto a questo approccio conservativo. Giustamente citi le critiche alla costruzione dal basso, un cortocircuito tutto italiano: ormai è impossibile che una squadra non abbia dei meccanismi per iniziare l’azione e risalire il campo con il pallone. Che poi lo voglia fare sempre, ogni tanto o quasi mai è un altro discorso, dipende dai principi di gioco dell’allenatore, dalle caratteristiche dei giocatori, e via dicendo. Ma per quanto si possa criticare, poi in campo lo vediamo tutte le domeniche, prima o poi ci si abituerà. La Nazionale di Mancini ha vinto con una proposta di gioco profondamente controculturale, con una squadra che dominava le partite con il pallone, che difendeva in avanti: non è stato possibile criticarla, e quindi si è provato a dire che alcune partite (ad esempio con la Spagna) sono state vinte con il caro vecchio calcio all’italiana. Le partite però le hanno viste tutti e tutte, e i discorsi retrogradi che circondano il calcio italiano ormai sembrano vuoti, stantii, autoreferenziali. Per me gli spettatori vogliono vedere un calcio moderno, più simile a quello che vedono nei maggiori campionati stranieri (ormai accessibili a molti in tv) e per questo la Serie A sembra andare in questa direzione. Come per altri settori della società italiana, per quanto ci siano delle forze che bloccano il progresso, ormai anche il calcio si sta tuffando nella contemporaneità, ed è difficile fermarlo».
Il calcio di oggi è diventato liquido. E se dovessi azzardare una previsione, quali saranno le tendenze dei prossimi anni?
«Un proverbio danese recita: “È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”. Il calcio può cambiare in tanti modi: c’è la strada verso la distopia iperdinamica prefigurata da Rangnick, secondo cui i momenti decisivi delle partite saranno quei cinque secondi successivi alla perdita del pallone – e quindi le squadre saranno composte solo da super atleti, capaci di eseguire gesti tecnici in modo pressoché automatico, in frazioni di secondi. Il calcio però tende a seguire un andamento circolare, non è una linea dritta: spesso dopo una grande fase di progresso si torna a proposte più speculative. Magari ci sarà un periodo in cui torneranno i giocatori specialisti del ruolo, rispetto ai giocatori che interpretano compiti molto ampi in campo. E poi tantissimo dipenderà dai cambiamenti regolamentari, uno dei fattori più sottovalutati nell’evoluzione tattica».
Un libro come il tuo a mio modo di vedere è un po’ una scommessa, perché è quasi unico nel panorama italiano. In passato si è cimentato in un esercizio simile Mario Sconcerti (penso al suo Storia delle idee del calcio), altrimenti per trovare materiale sull’argomento bisogna guardare all’estero, a gente come Jonathan Wilson e Michael Cox. Che riscontri stai avendo in queste prime settimane? È una scommessa vinta?
«Da un punto di vista personale, mi sembra che si possa parlare almeno di un’ottima riuscita. Come giustamente sottolinei, è un libro molto ambizioso; allo stesso tempo, sappiamo ormai da anni che esiste un pubblico appassionato, disposto anche a pagare per leggere dei contenuti sportivi con un approccio diverso dal solito. Un pubblico forse anche sottovalutato, a cui bisogna dare ancora più stimoli: spero che Calcio liquido possa essere un buon punto di partenza al riguardo. Ho avuto riscontri personali molto positivi, su tutti i canali possibili: dai social, alle presentazioni in presenza, persino a presentazioni in tv. Anche se è aneddotica, e non statistica, ci sono tanti lettori e lettrici che mi scrivono quasi con gratitudine, molti anche italiani all’estero: io non posso far altro che ringraziarli, e sperare che Calcio liquido possa rappresentare un nuovo tassello per un approccio più accurato (e rispettoso del lettore) all’analisi e alla narrazione calcistica».
Titolo: Calcio liquido. L’evoluzione tattica della Serie A
Autore: Emiliano Battazzi
Editore: 66thand2nd
Anno: 2021
Pagine: 256
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