Articoli e interviste del grande intellettuale

Negli scritti raccolti da Garzanti, con la prefazione di Gabriele Romagnoli, Pier Paolo Pasolini sottolinea la passione per il calcio e non disdegna di praticarlo in calzoncini e maglietta, all’occorrenza. Rifugge l’idea di una netta divisione tra un’intellighenzia che non può perdersi in sciocche abitudini come il pallone. Vede anzi nello sport più popolare d’Italia l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Da letterato, esperto di parole, racconta il calcio come un linguaggio, con una scrittura a sé stante. Attacca, aspirante ala. Prende spunto dalla mancata reazione della sinistra italiana davanti a una dichiarazione di Helenio Herrera, tecnico della Grande Inter degli anni Sessanta, secondo cui il calcio serve «a distrarre i giovani dalla contestazione». Sottolinea non la scarsa veridicità dell’affermazione, ma un presunto timore reverenziale verso uno dei personaggi chiave dell’epoca, figura centrale di un fenomeno accentratore di masse almeno quanto la politica.

Borghesi e popolari.

Guarda molto, Pasolini. Non il Bologna che sostiene, da nativo del capoluogo emiliano, bensì fenomeni che ritiene più interessanti, come i tifosi borghesi e quelli popolari, i romanisti che mostrano la propria “dritteria”. Riporta, in un articolo sul Giorno, l’idea di un ipotetico romanzo nel quale si diverte a dipingere le possibili sfaccettature di un non precisato campione, di cui poter raccontare le imprese. Nella realtà, al Chinaglia arruffone preferisce i Riva e i Bettega, più signorili. Vede in Rivera e Mazzola due elzeviristi del calcio, poeti ma non maledetti come è invece Corso. Definisce Bulgarelli l’uomo della prosa realista. Anticipa per attualità un tema sempre vivo come lo scontro tra “risultatisti” e “giochisti”, nell’osservare l’Italia della breve era Bernardini.

Serio… per gioco.

Quello di Pier Paolo Pasolini è insomma un punto di vista con cui confrontarsi sempre. A maggior ragione se si tratta di calcio, argomento di cui lo scrittore e regista parla come fosse realmente qualcosa di serio, ma dando l’impressione di non prendersi come tale, almeno fino a quando non si sfocia nella politica (vedi l’attacco a Herrera di cui sopra). Chiaramente Pasolini è anche figlio del suo tempo. Non vede quel che accadrà molti anni più tardi, per esempio lo sviluppo al femminile del calcio che tarderà per arrivare a sbocciare solo di recente. È anche questo, però, un motivo per leggere il libretto.

Perché leggere Il mio calcio di Pier Paolo Pasolini:

perché è una lettura rapida, di poche ore, ma altrettanto interessante; perché aiuta a dare una fotografia di ciò che è stato il calcio per molti anni; perché inquadra lo sport più popolare da un’angolatura “illuminata”.


Titolo: Il mio calcio
Autore: Pier Paolo Pasolini
Anno: 2020
Editore: Garzanti
Pagine: 95

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