Intervista a Diego Guido
Chiacchierata con l’autore di Paolo Maldini, 1041
Diego Guido (Mantova, 1985), lavora per un’agenzia creativa e ha scritto per Rivista Studio, Esquire e L’Ultimo Uomo. A inizio 2021 ha dato alle stampe la sua prima fatica letteraria, Paolo Maldini, 1041, edito da 66thand2nd, un libro che racconta un mito del calcio moderno e sul quale abbiamo scambiato quattro chiacchiere.
Un libro su Paolo Maldini: è stata un’idea tua o dell’editore?
«Un’idea mia che ha affascinato 66thand2nd. Mi ero reso conto che Maldini era assente dalla letterautra sportiva se non per un paio di libri confezionati per lo più per i tifosi. Mancava un racconto più profondo dell’uomo e del professionista che ne mettesse in luce anche gli spigoli, anche le increspature di un ritratto troppo spesso immacolato. Il racconto di Maldini mi pareva fosse sempre stato portato avanti in modo superficiale, distratto. Ed era un gran peccato che fosse così».
Scrivere di Maldini significa scrivere di un monumento. E allora ti chiedo: ma da che parte si comincia per raccontare un monumento?
«La sua monumentalità è anche ciò che ha creato distanza tra lui e il pubblico. Ciò che metteva in soggezione chiunque di fronte alla sua figura. Dunque sono partito proprio da questo: dal cercare di capire come sia diventato un simile monumento e cosa ci fosse dietro a quell’aura di sacralità. Ho cercato di chiedermi l’origine della soggezione che esercitava per esempio su di me e di ripercorrere tutte le scelte fatte e le parole dette lungo la carriera da cui poteva emergere quel senso di sudditanza spontanea in chi lo guardava. Per risponderti: per raccontare il monumento Maldini ho smesso di considerarlo un monumento. Solo così sarei potuto andare oltre le etichette, al di sotto della superficie».
Una volta per scrivere le biografie si spulciavano archivi polverosi, oggi come funziona? Ore e ore su YouTube?
«Più che come funziona posso dirti come ho portato avanti io il lavoro. Sono partito dai miei ricordi di spettatore con il culto per la maglia che Maldini ha sempre indossato. La struttura base del libro, gli snodi chiave, sono nati così, da quel che già sapevo e che semplicemente avrei dovuto approfondire. Poi ho guardato e riguardato decine e decine di video tra partite, spot pubblicitari, interviste. Infine ho portato sul libro la mia predilezione per le interviste e sono così riuscito ad avere pareri, ricordi, aneddoti, esperienze dirette da una platea decisamente varia di persone che hanno, chi più chi meno, incrociato le loro vite con quella di Maldini. Credo che il mio libro abbia queste tre grandi radici: ricordi personali, ricerca, interviste».
Scrivi da anni, ma è il tuo primo libro. Come cambia e cosa cambia nella scrittura di un libro rispetto a un articolo?
«Passare da scrivere longform per riviste d’approfondimento a scrivere un libro cambia come dal mezzofondo alla maratona. Serve rivedere del tutto la predisposizione prima di tutto del pensiero, l’approccio al lavoro. Si dilata la ricerca, si dilata la stesura, si dilatano i tempi tra le ore passate e scrivere e la percezione del risultato finito e pubblicato, aspetto che può essere un ulteriore fattore affaticante. Dall’altro lato, una volta trovato il ritmo del racconto, la dimensione del libro permette di dispiegare una grande quantità di diramazioni, permette di accompagnare chi legge lungo l’evoluzione del personaggio. E permette una cosa che amo molto fare, ossia raccontare anche lo sfondo della scena, anche le comparse, anche gli attori non protagonisti. Di trasferire concetti anche attraverso riferimenti apparentemente lontanissimi dal tema del libro. Certo, è letteratura sportiva, ma è altrettanto un libro che ho voluto scrivere pensando di parlare ai non amanti del calcio. Volevo andasse oltre».
L’affermazione che le 250 pagine del libro non siano altro in fondo che un tentativo di capire un personaggio enigmatico come Maldini ti trova d’accordo?
«Senza dubbio. Di capirlo io per primo e, di conseguenza, farlo poi capire a chi legge. Un tentativo di spiegare perché Maldini sia un uomo di calcio che poco ha a che fare con gli stereotipi legati a quel mondo, perché sia un personaggio talmente iconico eppure talmente lontano, talmente bandiera eppure talmente trasparente nel prendere se necessario posizioni anche scomode verso i suoi stessi colori».
Rispetto ad altri libri della collana Vite inattese, dove l’oggetto dell’opera (penso a De Rossi o a Baggio) non è stato interpellato, nel tuo libro il protagonista è stato incontrato e intervistato. Quanto e come ha cambiato il tuo lavoro questo incontro?
«Fin da quando ho iniziato a scrivere il libro sapevo due cose: la prima è che avrei fatto un tentativo per parlargli e capire direttamente dalla sua voce il suo punto di vista su alcune cose; la seconda è che avrei costruito il mio libro perché si reggesse sulle proprie gambe anche nel caso non fossi riuscito ad incontrarlo. Quando sono arrivato nel suo ufficio era la fine di ottobre e il libro era per tre quarti già scritto. Gliel’ho detto e gli ho detto “se adesso tu metterai in discussione cose che io ho già scritto sarà un piacere scrivere nel libro che da fuori ti vedevo diversamente di come invece tu senti d’essere” e questa cosa gli è piaciuta molto. Dopo quelle due ore di chiacchierata non ho fatto altro che andare a distribuire le sue parole lungo tutti i capitoli, nei punti in cui avrebbero impreziosito il mio racconto».
Non credi che di Maldini – del Maldini calciatore – si parli poco in Italia? È stato uno dei più grandi di sempre, eppure si è scritto molto poco su di lui.
«Poco e male. Molte volte la sua libertà di pensiero non è stata capita e scambiata per supponenza, altre volte la sua allergia per certe dinamiche lo ha fatto restare nell’ombra e questo lo ha reso meno visibile».
Perché ha senso scrivere un libro su un calciatore nel 2021, quando quasi tutta la narrazione sportiva va verso uno storytelling emozionale sfrenato, pensato per un consumo rapido?
«Per me ha avuto senso scrivere questo libro perché non l’ho considerato un libro su un calciatore ma un libro su un’icona. Un libro che indaga come quell’icona sia stata percepita al tempo stesso enorme e silenziosa, amata eppure talvolta anche duramente criticata. Per quanto riguarda il consumo rapido non credo sia una verità così indiscutibile, ognuno di noi si ricava tempo anche per consumi più lenti ed esperienze più riflessive. Certo non sarà mai un libro per la massa degli appassionati di calcio ma nemmeno per una nicchia così ristretta. La letteratura sportiva nell’ultimo decennio sta facendo scoprire che il racconto più profondo può essere un piacere difficilmente comparabile alla comodità dei contenuti istantanei. Non credo sia una battaglia tra veloce e lento, quanto più una varietà di opzioni che finalmente esiste».
Che tu sappia, Maldini ha letto il tuo libro? Hai ricevuto un feedback?
«Mi farebbe piacere consegnarglielo di persona e mi ha detto farebbe piacere anche a lui. Non abbiamo però ancora trovato il momento giusto. Prima del nostro incontro gli avevo però fatto avere alcuni spezzoni dei capitoli allora già conclusi. Mi serviva fargli capire in che modo lo stessi scrivendo e gli era piaciuto. Era rimasto sorpreso per esempio dal fatto che io lo avessi raccontato anche attraverso la passione per la musica, o attraverso la sua esperienza radiofonica. “Sono curioso di vedere come vede la mia vita uno scrittore”, mi aveva detto».
Maldini spiegato ai tuoi figli in una frase?
«Un simbolo del calcio che in realtà è molto più interessante di quell’etichetta».
Maldini spiegato ai tuoi lettori in una frase?
«Una bandiera che non si è mai limitata a fare e dire solo ciò che gli altri si aspetterebbero da una bandiera».
E per te, dopo questo libro, chi è Paolo Maldini?
«Un uomo di Milano che ha giocato a calcio come pochi altri. Un personaggio planetario che mi ha raccontato di se e dato fiducia».
Per leggere la recensione a Paolo Maldini, 1041, clicca qui.
Titolo: Paolo Maldini, 1041
Autore: Diego Guido
Editore: 66thand2nd
Anno: 2021
Pagine: 256