Intervista ad Alfonso Fasano
Chiacchierata con l’autore di Fútbol alla Valenciana
Alfonso Fasano, appassionato di calcio e giornalista, scrive per Rivista 11 e Il Napolista. A inizio 2019 ha pubblicato Fútbol alla Valenciana, un libro che apre al lettore un mondo calcistico poco conosciuto, quello di Valencia.
Come mai un libro del genere? Che lavoro hai dovuto svolgere per scrivere un libro così approfondito?
«L’idea del libro nasce qualche mese prima di un viaggio a Valencia: l’editore Alessio Rega e il curatore della collana Cristiano Carriero mi hanno stuzzicato chiedendomi se avessi un tema da proporre e sviluppare. E allora ho provato a mettere insieme svago, lavoro e una vecchia passione per il Valencia, la mia squadra preferita durante tornei infiniti di Play Station. Il lavoro per i testi ha incrociato le suggestioni della visita in città, la lettura di alcuni libri sulla storia del Valencia e del Levante e la ricerca sulla biografia dei personaggi più significativi per la struttura narrativa che avevo in mente. Non parlo solo di calciatori e allenatori, ma anche di un profilo del tifoso tipico valenciano, del VCF e del Levante, un appassionato di calcio che ha caratteristiche particolari, riconoscibili, raccontate in diversi punti del libro».
Ranieri, Cuper e Benitez, certificata l’importanza specifica di tutti e tre gli allenatori, chi è il vero uomo che rimarrà per sempre? Perchè?
«Credo sia ingiusto scegliere uno solo tra questi tre allenatori, è bello pensare che il ciclo dei primi anni Duemila, da Ranieri a Benitez passando per Cuper, sia da considerare come un continuum. Però voglio scegliere Rafa, non tanto e non solo perché ha vinto i trofei più importanti, ma perché ha creato e imposto un metodo di lavoro al Valencia, ha influenzato l’intera esperienza del club, dal campo da gioco fino ai dettagli apparentemente più laterali – per esempio l’architettura degli spogliatoi. Purtroppo il suo lascito filosofico e strategico è rimasto inattuato per molti anni».
Come mai un capitolo come quello su Cuper da “vincente”? E perchè hai scelto Ronaldinho tra i protagonisti?
«È stato il primo capitolo che ho scritto, anche perché avevo piena memoria della squadra che ha perso le finali di Champions nel 2000 e nel 2001. Volevo creare qualcosa di originale, l’idea dell’ucronia mi sembrava quella più suggestiva da sviluppare. Ho scelto Ronaldinho (e un altro personaggio che ha cambiato la storia del calcio europeo negli anni Duemila) perché nella mia testa la vittoria di una Champions avrebbe spinto il Valencia a diventare una squadra in grado di mantenersi per tanti anni ai massimi livelli, attraverso grandi acquisti e un progetto organico e vincente. Inoltre, mi stuzzicava l’idea di vestire il fantasista brasiliano con la maglia del VCF, sarebbe stato un giocatore molto amato dalla tifoseria valencianista».
La storia a cui sei più appassionato e perché?
«La storia più bella che ho avuto modo di registrare e (provare a) raccontare è stata quella di Mario Kempes. Non ne faccio una questione di qualità del giocatore o di trofei vinti, l’argentino è considerato il simbolo storico del VCF per le sue caratteristiche umane, anche se non soprattutto per le sue contraddizioni. È valencianismo allo stato puro, un sentimento difficile da spiegare senza essere retorici. Nel libro cerco di fare proprio questo, provo a descrivere e raccontare un popolo e la sua identità senza cadere nello stereotipo della tifoseria calda. A Valencia, il calcio è vissuto in maniera diversa rispetto ad altri luoghi, è un transfer per l’affermazione di un’identità non radicale, ma comunque radicata. Kempes è riuscito a comprendere questo sistema di significati, l’ha fatto suo e ancora oggi è considerato un idolo dai tifosi del Mestalla».
Secondo te il Valencia ha possibilità di tornare a vincere in Spagna?
«Credo che il Valencia appartenga a quel gruppo di società destinate ad essere (sempre più) alternative alle solite note, in Spagna come avviene in Italia, Germania ed Inghilterra. Il gap economico tra i top club e le squadre medio-borghesi è enorme, e solo un progetto di competitività che duri nel tempo potrebbe portare il VCF ad aspirare di nuovo ad un successo importante. È il neocalcio, a Valencia è arrivato da poco grazie ai soldi (e alle speculazioni) di Peter Lim, ma è l’unico modo per cercare di sfruttare un eventuale colpo a vuoto di Real Madrid, Barcellona e Atlético Madrid».
Cosa pensi della letteratura sportiva oggi? Che ruolo ha?
«A mio parere la letteratura sportiva è un’occasione. Chi la alimenta – leggendo o scrivendo, due facce della stessa medaglia – mette insieme passione e cultura, sentimenti e conoscenze. È una combinazione potenzialmente perfetta, perché poi può far scattare un altro tipo di curiosità: un ipotetico lettore del mio libro potrebbe essere “spinto” a visitare Valencia, quindi entrerebbe a contatto con l’identità della città, i suoi luoghi più belli, i suoi cibi, le sue bevande. Tutto partendo dall’amore per il calcio, che accomuna tantissime persone. È un ciclo di costruzione culturale potenzialmente infinito, perché si rivolge alla massa con un tema leggero, che però non vuol dire “vuoto” o “stupido”, soprattutto se poi genera nuove connessioni, nuove conoscenze. Le storie da raccontare sono infinite, dopotutto».
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Titolo: Fútbol alla valenciana
Autore: Alfonso Fasano
Editore: Les Flaneurs Edizioni
Anno: 2019
Pagine: 136