Intervista a Enzo D’Orsi
Chiacchierata con l’autore di Non era champagne
Enzo d’Orsi, classe 1953, è una delle storiche firme del giornalismo sportivo italiano. La sua carriera è strettamente legata alla storia della Juventus, visto che dal 1979 al 2000 ha seguito la Vecchia Signora per il Corriere dello Sport. Ha raccontato oltre 250 sfide europee, migliaia di partite di campionato, oltre che quattro Mondiali e cinque Europei di calcio. Ha scritto anche per Paese Sera e Leggo. Il suo primo romanzo, pubblicato Edizioni inContropiede ed edito nel 2018, si intitola invece Gli undici giorni del Trap ed è dedicato alla finale di Coppa dei Campioni persa dalla Juventus ad Atene contro l’Amburgo. Il secondo, uscito da poco e pubblicato dalla stessa casa editrice, si intitola Non era champagne. La Juve di Maifredi, Montezemolo e Baggio. Ed è proprio su questo libro che verte la nostra intervista.
Come mai un libro sulla stagione calcistica 1990-91 della Juventus?
«Non c’è una ragione precisa. Racconto storie che riguardano uomini, squadre e partite. Il libro, che è un racconto lungo, è stato scritto quando nessuno immaginava che, dopo cinque scudetti, Allegri venisse esonerato per avviare un’altra rivoluzione tecnica e aggiungerei culturale. Quella stagione fu molto particolare, c’erano intorno alla Juve attese enormi, Maifredi rappresentava il Nuovo, avrebbe dovuto eguagliare Sacchi. Ma fu subito chiaro che non esistevano i presupposti. Settimana dopo settimana, nel girone di ritorno, la Juve svanì, il progetto anche, e alla fine la famiglia Agnelli richiamò Trapattoni. La rivoluzione di Maifredi fallì, a conferma che la Juve non ama storicamente stravolgere le convinzioni che l’hanno portata a dominare in Italia».
Se dovesse dare una definizione di Gigi Maifredi e del progetto che aveva in mente per la Juventus cosa direbbe?
«Il progetto aveva un senso: l’avvocato Agnelli era stanco di stagioni così così, non vedeva un grande futuro con la tradizione italianista, e pur avendo un grande stima di Zoff, decise la svolta. Maifredi, probabilmente, non era pronto per la Juve. Come me la pensano in tanti, a cominciare da Eraldo Pecci, grande regista e grande protagonista della scalata del Bologna maifrediano, che ha scritto la bellissima prefazione del libro. Dopo pochi mesi, l’Avvocato si convinse che la Juve andava rifondata di nuovo e richiamò Trapattoni, oltre a Boniperti. Nel calcio, gli umori del momento cambiano il destino delle squadre. Credo che sarebbe stato logico continuare nella ricerca del Nuovo, con un altro allenatore e con una squadra costruita meglio. Maifredi si illuse di fare coesistere Baggio Casiraghi Schillaci e il tedesco Haessler, una delle stelle della Germania campione del mondo. Un’impresa impossibile. Qualcuno provi ad immaginare un attacco con Casiraghi centravanti e poi Baggio e Schillaci ali, o esterni che dir si voglia… In sintesi: c’era tanta qualità, ma poca connessione tra i giocatori. In più il centrocampo e la difesa non erano all’altezza della concorrenza».
Molti sostengono che il “calcio champagne” di Maifredi sia stato troppo pretenzioso per una società che fa del risultato il primo obiettivo come la Juventus. Cosa pensa Lei in proposito?
«Credo che ogni club abbia la sua storia e il suo modo d’essere, una specie di DNA. È impensabile, per esempio, il Barcellona tutto difesa e contropiede: quando gli capita di giocare così, finisce malissimo, come dimostrano le recenti eliminazioni in Champions League contro il Liverpool e addirittura la Roma. La Juve è da sempre la fabbrica degli scudetti, per mentalità e tradizione si trova meglio nelle sfide domestiche rispetto a quelle internazionali. È anche possibile che nei decenni qualcosa possa cambiare, in questo senso la nuova Juve è una bella scommessa».
In estate si è sentito di un paragone Sarri-Maifredi in merito all’impatto nel mondo Juve: c’è qualche punto di contatto tra le due situazioni?
«A mio giudizio i punti di contatto sono davvero pochi. Per due ragioni. La prima: Sarri è molto diverso da Maifredi. Sarri è uno studioso appassionato del calcio, è un perfezionista ed è anche un uomo introverso. Maifredi è più spontaneo e direi anche un po’ superficiale – almeno quando l’ho visto lavorare io – di sicuro non è ossessionato dal calcio ed è una persona empatica, alla quale piace molto stare in mezzo agli altri. I bar, quando era un emergente dopo aver fatto bene in serie C con l’Ospitaletto, gli davano la misura della propria popolarità. La seconda ragione è più tecnica: la Juve attuale ha una struttura così robusta e completa da poter vincere anche se ad allenarla fosse Villas-Boas, uno dei tecnici più sopravvalutati di ogni tempo. In ogni ruolo, ci sono due giocatori di alto livello, basti pensare che la riserva di Higuain è il vice campione del mondo Mandzukic! Come se non bastasse, la società è anche’essa fortissima, mentre allora c’erano un presidente che faceva l’avvocato a tempo pieno, Vittorio Chiusano, un vice presidente esecutivo che viveva a Roma e trascorreva pochi giorni al mese a Torino, Luca Cordero di Montezemolo, ed un direttore generale che non era un uomo di calcio in senso stretto, Enrico Bendoni. Insomma, era una Juve debole da questo punto di vista».
La sua modalità di raccontare la stagione bianconera 1990-91 è, dal mio punto di vista, un bell’esperimento di commistione tra la cronaca di campo ed il romanzo di un uomo come Maifredi, in missione ma in perenne difficoltà. Se potesse sostituirsi al mister cosa farebbe di diverso? Inoltre: quella squadra era davvero molto superiore a quello che la stagione e la classifica finale del campionato hanno espresso?
«Troppo facile mettersi al posto di Maifredi. Lui accettò l’idea e affrontò il campionato con grande ottimismo. Io non avrei mai fatto giocare Baggio e Schillaci larghi per favorire Casiraghi, i due con tutta la buona volontà non avevano la capacità di muoversi sulle fasce, Baggio e Schillaci vivevano per il gol. Maifredi si fidò molto di Baggio: grande tecnica, ma poca forza per essere un leader. Al posto di Maifredi, non avrei rischiato troppo con il fuorigioco e con la difesa altissima, con la coppia centrale Julio Cesar-Bonetti non avrebbe potuto funzionare. Complessivamente era una Juve da quarto, forse quinto posto, tenuto conto della concorrenza che schierava Van Basten e Gullit, Vialli e Mancini, Matthaus e Klinsmann, Maradona e Careca. Il settimo posto finale fu un fiasco, perché comportò l’uscita da tutte le competizioni europee e perché davanti alla Juve finirono anche il Parma neo promosso, il Genoa e il Torino».
Baggio e Montezemolo, citati nel sottotitolo, sono due personaggi comprimari nel libro, ma altrettanto importanti. Ad un certo punto nessuno dei due è stato d’aiuto a Maifredi né sul campo, né fuori dal campo. Come definirebbe il loro apporto/la loro responsabilità in quella stagione?
«Montezemolo e Baggio ebbero un ruolo importante. Montezemolo credeva, sostenuto dalla maggior parte dei media, di poter gestire da lontano una macchina complessa come una società di calcio. In più, non dava l’impressione di avere molta passione per il football. Nell’ultima parte della stagione, le sue scenate nei confronti di Maifredi non giovarono a nessuno. Baggio era un raffinato attaccante, una seconda punta diceva Sacchi, super dotato ma poco incline ad assumersi responsabilità diverse dalle sue. Era un solista, non un leader. Maifredi stravedeva per lui, ma nei momenti decisivi Baggio non ha potuto, o saputo, dargli qualcosa in più, soprattutto fuori dal campo».
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Titolo: Non era champagne. La Juve di Maifredi, Montezemolo e Baggio
Autore: Enzo D’Orsi
Anno: 2019
Editore: In Contropiede
Pagine: 119
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