Intervista a Massimo Prati
Chiacchierata con l’autore de Gli svizzeri, pionieri del football italiano
Massimo Prati, italiano, formatore ed insegnante, dal 2004 vive in Svizzera. Autore di diverse pubblicazioni a carattere sportivo, nel 2019 ha scritto per Urbone Publishing Gli Svizzeri, pionieri del football italiano. 1887-1915. Con Libri di Sport si è intrattenuto sulla sua opera, che come recita la copertina è «un omaggio ai primi svizzeri che hanno contribuito alla creazione e alla diffusione del football in Italia».
Per quale motivo ha deciso di scrivere Gli Svizzeri pionieri del football italiano?
«Lavoro in Svizzera come insegnante da più di 15 anni, e l’anno scorso ho anche acquisito la nazionalità elvetica. Questo lavoro di ricerca è iniziato per il piacere di approfondire la conoscenza dei legami tra il mio paese d’origine e quello che mi ha accolto. Avevo già delle competenze in materia, ma dopo avere studiato e approfondito l’argomento, mi sono detto che queste tematiche potevano avere un certo interesse per gli appassionati di storia e per gli amanti del calcio, sia in Svizzera che in Italia. Ho scritto la prima versione del libro in francese, in accordo con un editore della Svizzera Romanda, ma momentaneamente il progetto editoriale si è arenato. La versione italiana è venuta dopo, ma grazie al sostegno di Gianluca Iuorio, editore di Urbone Publishing, il libro è potuto uscire in Italia lo scorso febbraio».
Senza l’intervento degli svizzeri si può ipotizzare che il calcio italiano avrebbe avuto uno sviluppo differente?
«È una domanda a cui non mi sentirei di rispondere in modo categorico. Però è indiscutibile che gli svizzeri hanno influito positivamente sul calcio italiano sotto molteplici aspetti: da un punto di vista dirigenziale, partecipando ai processi di fondazione dei grandi club italiani e da un punto di vista tecnico, ingrossando i ranghi delle squadre più forti del nord Italia, ma anche quelle del resto della penisola. Un altro aspetto importante è stato che, tra il 1899 e l’inizio del 1915, ci sono stati decine e decine di incontri tra squadre italiane e squadre elvetiche. E, almeno nei primi 7-8 anni di questo quindicennio, gli svizzeri non solo erano dati per favoriti, ma venivano anche presi come modello da seguire da un punto di vista tecnico e tattico. Tra l’altro, la mia ricerca si è concentrata sul football italiano delle origini. Ma gli svizzeri hanno contribuito, in modo diretto e indiretto, alla nascita di club in Spagna e alla diffusione del calcio in Brasile. Due nomi per tutti: Hans Gamper, svizzero fondatore del Barcellona, e Oscar Cox, un brasiliano che si iniziò al calcio a Losanna, nel periodo dei suoi studi all’estero e, rientrato in patria, fondò il Fluminense, contribuendo alla diffusione del calcio in Brasile».
Il suo libro è il frutto di una ricerca storiografica piuttosto approfondita. Ci racconta come si è mosso?
«Per ciò che riguarda le sezioni di inquadramento storico, volte a dare al lettore una serie di elementi che spiegano la formazione e la presenza di comunità elvetiche in Italia, mi sono basato sui lavori di importanti accademici svizzeri francesi e italiani: Nicolas Morard, Patrick Cabanel, Valerio Castronovo. Per la parte che ricostruisce le vicende del periodo fondativo delle squadre di calcio, ho letto i numerosi libri che ricostruiscono la storia di ogni singolo club; questa lettura è stata accompagnata anche dallo studio di altri lavori che affrontavano la tematica calcio in generale: mi riferisco ad autori come John Foot e Paul Dietschy e, da un punto di vista sociale, penso al lavoro di Guido Panico e Antonio Papa. In questi ambiti è stato anche utile incrociare i dati italiani con quelli elvetici: parlo di libri in francese sulla storia del Servette di Ginevra o della Nazionale Svizzera, ma anche di altri dati che ho potuto ottenere grazie al materiale della Bibliothèque de la Cité di Ginevra e quello della Biblioteca Nazionale Svizzera di Berna o, ancora, gli archivi genealogici di Losanna e Ginevra. Altre fonti da cui ho attinto informazioni preziose sono rappresentate dai siti internet tematici e i siti dei tifosi dei singoli club (in questo caso però ho utilizzato solo i dati di cui sono riuscito ad accertare la veridicità). Infine, alla Biblioteca Civica Berio di Genova ho consultato decine e decine, forse centinaia di numeri de La Gazzetta dello Sport, Il Secolo XIX, Il Caffaro e La Stampa, per documentarmi sui match giocati tra svizzeri e italiani, in un periodo che va dal 1899 al 1915. Al lettore ho proposto una ventina di articoli ma, ovviamente, quelli da me letti sono molti di più».
Pubblicazioni come la sua sono piuttosto rare. Crede che in Italia ci sia disattenzione verso le origini del calcio?
«Direi che come in molti altri aspetti della vita quotidiana, anche nel calcio ci sono molte persone che vivono immerse nel presente, nella realtà contigente. Ma, ho constatato che nella maggior parte delle tifoserie c’è una specie di “zoccolo duro”, molto legato alle proprie radici e, più in generale, appassionato della storia degli albori del calcio».
Se volesse convincere qualcuno a leggere il suo libro, cosa gli direbbe?
«La prima cosa che direi è probabilmente un’affermazione comune a tanti autori, ma il fatto che sia una frase ricorrente non la rende meno vera. Se dovessi convincere qualcuno a leggere il mio libro, in primo luogo direi che è un lavoro di ricerca dove c’è tanta fatica, tanta passione e tanto amore per il calcio, soprattutto quello delle origini. Poi, entrando nel merito, metterei in evidenza come il ruolo degli svizzeri nella diffusione del football è un aspetto ignorato dal grande pubblico. Gli specialisti, gli storici del calcio, gli appassionati della materia sono invece ovviamente al corrente di questo contributo. È un contributo però che spesso, quasi sempre, è stato presentato in modo “parcellizzato”: gli storici dell’Inter hanno parlato del contributo dato dagli svizzeri al proprio club, quelli del Torino hanno fatto lo stesso per la storia della propria squadra, e così via. Il merito del mio libro è forse quello di avere voluto ricostruire un quadro di insieme, e avere dato conto di un fenomeno nella sua interezza».
Da ultimo, il suo libro di sport preferito?
«Permettemi di citarne due, il primo è: William Garbutt, Il Padre del Calcio Italiano, la biografia di Paul Edgerton sul “Mister” per antonomasia. William Garbutt vinse dei titoli nazionali in Italia, ed in Spagna, e mise le sue competenze a disposizione della Nazionale Italiana. Ma, aldilà degli aspetti calcistici, questo grande allenatore era prima di tutto un uomo di grande spessore morale: William Garbutt adottò una bambina italiana; bambina che il Mister non volle abbandonare alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, rinunciando a rientrare in Inghilterra. Per questo Garbutt restò in Italia e, in quanto cittadino inglese, subì la persecuzione fascista che lo portò a vivere per molti anni in confino. Il secondo libro è: Splendori e miserie del Gioco del Calcio di Eduardo Galeano, un libro in cui il celebre scrittore uruguayano miscela sapientemente aspetti tecnici e sociali, e risvolti drammatici e umoristici, legati alla storia del calcio. Sono due lavori letterari che mi hanno affascinato profondamente e, infatti, ho sentito il bisogno di citarli entrambi nel mio libro».
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Titolo: Gli Svizzeri, pionieri del football italiano
Autore: Massimo Prati
Editore: Urbone Publishing
Anno: 2019
Pagine:192