Intervista a Maurilio Barozzi
Chiacchierata con l’autore di Muro dolomitico. Trento capitale mondiale del volley
Maurilio Barozzi è giornalista, saggista e narratore. Scrive sui giornali dal 1989; è giornalista professionista dal 1998. Il suo primo romanzo – Spagna (Giunti, Firenze) – è del 2003. Il secondo – Seme di metallo (Curcu Genovese, Trento 2006) – era entrato nella cinquina finalista del premio nazionale Pungitopo col titolo provvisorio di Vergine in Bilancia. Il suo primo racconto Una giornata storta è stato semifinalista al Premio Loria. L’ultimo libro Muro Dolomitico. Trento capitale mondiale del volley (Curcu & Genovese, Trento 2019) è stato ristampato tre volte nel giro di cinque mesi.
Come mai un libro sulla Trentino Volley?
«Trentino Volley ha portato una squadra italiana stabilmente all’apice di uno sport popolare in tutto il mondo. Dal 2008 ha saputo ottenere 18 titoli dei quali nove internazionali. Già questo mi pareva degno di essere raccontato. Ma, a ben guardare, c’è di più. Scrivendo importanti pagine di sport, Trentino Volley ha perfino cambiato le abitudini degli abitanti di tutta la provincia di Trento. Una terra abituata a veder crescere atleti di razza, ma legata allo sviluppo degli sport per così dire ‘nazionali’ cioè che nascono dal clima e dall’orografia del luogo. Certo, c’era stato anche il pallavolista del secolo Lorenzo Bernardi, ma i più erano sciatori e ciclisti. Comunque mai una squadra di vertice in uno degli sport più praticati in Italia e nel mondo. Con la sua apparizione, dal Duemila, la Trentino Volley ha costituito questa novità. Ha saputo portare migliaia di sportivi al palazzetto, li ha coinvolti in un progetto generale con tifo organizzato e un appuntamento rituale. La letteratura non poteva ignorare una realtà così profondamente radicata nel suo territorio».
I ritratti da lei proposti nel libro parlano più che di campo dell’aspetto umano dei soggetti incontrati: se dovesse scegliere la persona che più l’ha colpita chi indicherebbe e perché? Ed invece il campione in campo?
«Umanamente è difficile sceglierne uno perché tutti i ragazzi che ho incluso in Muro Dolomitico hanno una loro particolarità. Diciamo che la storia più pazzesca è quella di Giacomo Sintini che si ammala di cancro, deve smettere di giocare per curarsi, dopo due anni torna in campo come secondo palleggiatore e, a causa dell’infortunio del regista titolare, si ritrova a giocare la partita decisiva: gara cinque della finale scudetto. Gioca, vince ed è il migliore in campo. Sembra una favola, invece andò proprio così. Per quanto riguarda il lato agonistico direi Matey Kaziyski e Osmany Juantorena: una coppia così forte di schiacciatori non si è mai vista in nessuna squadra al mondo».
Quanto della nascita, crescita ed esplosione del fenomeno Trento è da attribuire al contesto trentino?
«Credo si sia trattato di un mix di follia, competenza e fortuna. Il presidente Diego Mosna era un trentino atipico, abituato a ragionare in grande e, acquisiti nel Duemila i diritti della serie A1, non si sarebbe mai fermato alla semplice testimonianza: voleva vincere. Per farlo ingaggiò uno staff di primo piano ma inizialmente la squadra era giovane, acerba, non aveva appeal. Per far arrivare a Trento campioni servivano un progetto solido e garanzie economiche. In questo senso la “trentinità” – col suo cliché del passo misurato – aiutò parecchio. Tutto ciò però non sarebbe bastato se in Trentino non vi fosse da sempre un forte interesse sociale e politico per lo sport. Che in quegli anni si rafforzò. Venne costruito un palazzetto che all’epoca, nel Duemila, costò oltre cinquanta miliardi di lire. Inoltre alla guida della promozione turistica – Trentino Marketing – fu nominato un manager, Maurizio Rossini, che sollecitò la possibilità di usare lo sport e nello specifico la pallavolo come testa di ponte per penetrare anche nuovi mercati (ad esempio la Polonia). Così l’ente pubblico stesso elargì importanti contributi annuali che consentirono di allestire una squadra ogni anno più competitiva».
Qual è stato secondo lei il momento più importante di questo meraviglioso ciclo vincente del volley a Trento?
«I punti di svolta decisivi furono due: il primo scudetto – nel 2008 – rese chiaro in tutto il Trentino che la pallavolo a Trento era diventata di casa. E poi la stagione 2009-2010, quando Trentino Volley vinse la seconda champions league e il primo mondiale per club: da quel momento non era più una simpatica squadretta di provincia che ha avuto il suo momento di gloria. In quel momento Trento era diventata la capitale del volley mondiale, piazza ambita per ogni giocatore. Tanto è vero che l’anno successivo rafforzò la posizione conquistando il “triplete”: scudetto, champions league, mondiale per club».
Che ruolo ha secondo lei nel 2019 la letteratura sportiva?
«Lo sport è la rappresentazione della primordiale lotta per le risorse e dunque per la sopravvivenza. Esprime gioie, dolori, conflitti, sentimenti, passioni, regole. Raccontare lo sport, significa raccontare la vita attraverso una metafora ancestrale. Si può anche dire che lo sport facilita il compito di uno scrittore per diversi motivi. Innanzitutto narra personaggi per definizione volitivi, con un chiaro obiettivo (essere il migliore), e la loro lotta per ottenerlo. Insomma, personaggi perfetti per la letteratura. Inoltre individua una platea precisa e ampia a cui rivolgersi e offre una grammatica che permette di parlarle. Attecchisce allo stesso tempo tra anziani e bambini, donne e uomini. In più costituisce un denominatore comune planetario. Faccio un esempio: a chi non è capitato – a Rio de Janeiro, a Mumbay, al Cairo o dove – di trovare qualcuno che, capito che sei italiano, per rompere il ghiaccio e scambiare due parole, cita il nome di un calciatore? Lo sport è un argomento comune. Sono così convinto che la letteratura sportiva abbia un futuro florido di fronte, a patto di essere narrata con onestà e competenza. Considerando che i lettori ai quali si riferisce sono molto preparati, diventa ancora più importante scrivere di ciò che si conosce. Meglio non dar retta a chi sostiene che non serve essere un cavallo per scrivere di ippica: lo dice solo perché sa di non poter essere un cavallo».
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Titolo: Muro dolomitico. Trento capitale mondiale del volley. Ritratti di protagonisti, storie di uomini
Autore: Maurilio Barozzi
Editore: Curcu & Genovese Associati
Anno: 2019
Pagine: 160