Storia del doping da Dorando Pietri ad Alex Schwazer

Chiara denuncia.

Lo sport imbroglione di Sergio Giuntini è un libro forte, chiaro, dissacrante. Va subito al punto senza remore e senza indugi. Non gira intorno, non sfuma i toni, non alleggerisce le espressioni. A partire dal titolo che è già in sé un atto di accusa senza reticenze. La convinzione dell’autore è che lo sport sia molto malato, a corto di idealità, e debba recuperare i propri valori fondanti. Ritiene siano queste le conseguenze di un problema ben più profondo e radicato: il doping. Parlarne come riesce a farlo lui, a questi livelli di profondità e di vastità, non è cosa scontata. Facile sarebbe avanzare denunce generiche o fomentare vaghi sospetti. Il lavoro di Giuntini è invece preciso, circostanziato, esplicito. Una documentata messa in discussione dello sport reale, non considerato nella sua forma esaltata e velleitaria.

Le eccezioni.

L’insinuazione è che non sia mai esistito lo sport senza doping. Tesi estrema e discutibile? Valuterà il lettore sulla base delle argomentazioni addotte e dei fatti riportati. Di certo siamo lontani da ipocrisie e ambiguità. Il testo colpisce proprio per la sua chiarezza oltre che per il suo coraggio. Riporta con precisione nomi, circostanze, sentenze. Indica responsabilità, leggerezze, accomodamenti. Ricorda come sono andate le cose, gli elementi che le hanno causate, le persone che le hanno assecondate. E i pochi, pochissimi, che hanno cercato di opporsi ad una realtà tanto problematica. Due gli esempi emblematici: Alessandro Donati (allenatore di atletica) e Zdenek Zeman (allenatore di calcio). Nelle rispettive discipline, non a caso, emarginati e ritenuti inattendibili, se non infidi.

Il doping nella storia e nello sport.

Assecondando l’idea di uno sport trasformato in una sorta di fabbrica di miti e leggende, il libro svela però – in maniera realistica – anche l’altra faccia della medaglia: il proliferare di antimiti e antieroi. Atleti probabilmente anche vittime di un sistema di cui però finiscono per essere conniventi, perchè beneficiari interessati di fama, successo, vantaggi economici. Giuntini si tiene lontano dal moralismo e dal giustizialismo. E non si limita nemmeno agli aspetti chimici o farmacologici della questione. Certo, ha ben chiare le mutazioni e le innovazioni delle sostanze introdotte via via in ambito sportivo: cocaina, stricnina, anfetamine, anabolizzanti, emoautotrasfusione, eritropoietina. Ma indaga con maggior interesse soprattutto gli aspetti storico-sociali del fenomeno, con le relative ricadute istituzionali: il coinvolgimento e le prese di posizione delle varie Federazioni. Il problema, studiato nella fase del capitalismo e in quella dei totalitarismi (italiano, tedesco, sovietico), mostra come il doping non sia nato dal nulla, ma sia la conseguenza di premesse e disvalori posti alla base della società e dell’organizzazione statale. E rappresenti la degenerazione del voler vincere ad ogni costo, del miglioramento di sé portato all’esasperazione, del raggiungimento costante di record che richiamano business e sponsor. Una maldestra dedizione alla efficienza e alla produttività spingono ad ottenere sempre il massino, con ogni mezzo, a qualunque prezzo. Tanto più da quando lo sport è diventato spettacolo, evento mediatico, richiamo di interessi. Non molto diverso nelle sue letali conseguenze da quello di derivazione “ideologica”, utilizzato e programmato per promuovere l’enfasi del “superuomo” o della “super razza”. Incentivando il patriottismo, il nazionalismo, la supremazia politica suffragata da quella fisica e agonistica.

Gli eccessi.

Fin qui le cause, le origini, gli sviluppi esagerati. Il testo continua con una serie di meticolose analisi delle storture riscontrate soprattutto – ma non solo – in ambito italiano relativamente al ciclismo, al calcio e all’atletica leggera. Tanti gli episodi citati: Dorando Pietri, Fausto Coppi, Lance Armstrong, Diego Armando Maradona, Marco Pantani, Alex Schwazer. Ovviamente con i distinguo e le differenziazioni di ogni singolo caso. Ne emerge un quadro desolante e squallido. In cui tutti – ad ogni livello – sanno, fingono di non vedere, faticano ad intervenire. Se non con precisazioni formali e provvedimenti estemporanei. In gran parte di facciata. Come già ricordato, le rare voci fuori dal coro, audaci Golia contro apparati inscalfibili, si ritrovano ad essere isolati e screditati. Un libro senza dubbio impietoso e crudo, che preferisce lasciare forse un po’ di amaro in bocca piuttosto che addolcire artificiosamente (e contro l’evidenza) un mondo, quello dello sport, che nella realtà non è sempre del tutto così fiabesco e incantato.

Perché leggere Lo sport imbroglione di Sergio Giuntini:

per la coraggiosa e approfondita analisi di un fenomeno risaputo e, quasi con rassegnazione, dato per scontato nel mondo dello sport; per l’originale impostazione – di taglio sociologico e storico – della trattazione; per la ripresa e l’approfondimento di alcuni tra i più clamorosi casi, soprattutto italiani, di doping sportivo.


Titolo: Lo sport imbroglione
Autore: Sergio Giuntini
Editore: Ediciclo
Anno: 2022
Pagine: 333

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