Il racconto di un fuoriclasse e delle sue due stagioni all’Udinese

È come se oggi Mbappè decidesse di giocare nel Lecce. Serve un metro di paragone iperbolico come questo per spiegare cosa significò, nell’estate nel 1983, veder sbarcare Zico in Friuli per vestire la maglia dell’Udinese. Un’utopia divenuta realtà, come perfettamente spiega Enzo Palladini in O Zico o Austria (pp. 129, Edizioni InContropiede, 2020), il libro che ripercorre la vita calcistica, ma soprattutto la parentesi italiana, di Arthur Antunes Coimbra, il Galinho, Zico per l’appunto.

Restauro narrativo.

Si tratta di un’opera di cui c’era bisogno. Perché Zico, per i Millennials e i nostalgici del calcio degli Anni Novanta, è giusto un nome la cui grandezza s’è persa nelle pieghe di un almanacco un po’ impolverato e nel quale ci sono altre stelle a brillare. Eppure Zico è stato uno di quei giocatori illuminanti e illuminati. Fenomenale. Figlio di un’epoca in cui il calcio d’oltreoceano aveva ancora un senso competitivo ed agonistico che andava ben oltre i soli Mondiali. Il Flamengo di Zico, sebbene poco ricordato, è stato e resta una delle squadre più belle e vincenti degli Anni Settanta e Ottanta. Una formazione di cui il Galinho fu simbolo, addirittura dio per qualcuno. Enzo Palladini, giornalista d’esperienza e penna puntuale, con il suo ultimo libro tenta dunque di ridare luce alla figura di Zico. Il suo potrebbe essere definito un lavoro certosino di restauro calcistico: attraverso i ricordi, i racconti, le testimonianze e i gol, ridà forma ai contorni di un fuoriclasse che con eccessiva fretta la memoria collettiva ha riposto in un angolo.

Il trasferimento che segnò un’epoca.

Il titolo del libro, O Zico o Austria, richiama lo slogan che i tifosi dell’Udinese scandivano in piazza insieme al loro presidente quando la Federcalcio minacciava di invalidare quel trasferimento così romantico e così inspiegabile. Altri tempi, un’altra Italia. Zico, fenomeno brasiliano emblema di una Nazionale verdeoro tra le più forti della storia, nel 1983 aveva accettato di andare a giocare in una squadra di bassa classifica del calcio italiano. Perché? Per soldi, ma anche perché allora il calcio nostrano rappresentava il meglio. Tutti i più forti giocavano qui. E così Zico seguì i Platini e i Maradona, tra i pochi che, in termini di classe, potevano permettersi di considerarsi suoi pari. Non fu una parentesi fortunata, quella di Zico a Udine. Ma fu incredibile, insensata e inspiegabile. Segnò un’epoca. E il libro di Palladini ha l’enorme pregio di raccontare tutto questo alla perfezione.

Il pezzo di storia di Zico.

Senza dover ricorrere all’inflazionato (e spesso stucchevole) storytelling e affidandosi soltanto (si fa per dire) all’accuratezza giornalistica e ai ricordi di quand’era un giovane e appassionato corrispondente, l’autore del libro riesce nell’intento di raccontare a chi non c’era cosa fu Zico, e a chi c’era di ricordarglielo. Un calciatore che in Brasile vanta ben cinque statue a lui dedicate, oltre che svariate canzoni e almeno un paio di film; quello con più gol realizzati al Maracanà (333 in 435 partite). In Europa non ha mai vinto niente, tutti lo ricordano come un gran signore e alle pagine di gossip non ha mai regalato neppure uno spunto, eppure Zico fu in grado di dipingere traiettorie meravigliose con le stupende pennellate dei suoi piedi. Lasciò ad altri l’epica, si prese un pezzo di storia. E O Zico o Austria ha il grande merito, seppur senza chissà quali guizzi o estri narrativi, di ricordarlo a tutti. Ce n’era bisogno.

Perché leggere O Zico o Austria:

perché è un libro che fa del sano e necessario revisionismo storico-sportivo, ricordando e raccontando a tutti quanto fu grande e bello il calcio del Galinho.



Titolo:
O Zico o Austria
Autore:
Enzo Palladini
Editore:
Edizioni InContropiede
Anno:
2020
Pagine:
129

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